La Comunità si è riunita alle ore 20:00 nella sala grande della Curia con il consueto amore verso il prossimo che giorno per giorno viviamo a Mosca. Si respirava un'aria di compassione e amore per l'attesa del Santo Natale. La serata si è aperta ufficialmente con l'introduzione commossa di Don Gianpiero che ha dato il benvenuto a tutti i partecipanti.
Le letture e i video sono state alternate da canti natalizi selezionati dal maestro di musica Francesco Fornasieri che ha corroborato il momento delle letture e i momenti di riflessione insieme al coro della Chiesa.
Vogliamo condividere il momento di gioia e grazia della sera del 13 dicembre insieme ai nostri lettori. Qui sotto condividiamo le letture della serata e i riferimenti del podcast di Don Giussani.
Giornata Comunitaria in preparazione al Santo Natale
Dio si è nascosto in un bambino per essere cercato. Riflessione sul Natale.
Mosca, 13 Dicembre 2024
E’ con grande gioia che ci ritroviamo per ridestare il nostro cuore per essere pronti ad accogliere Gesù che viene. L’accorciarsi delle giornate e lunghe ore di buio che sempre caratterizzano questa terra, sembrano riflettere – quest’anno in modo particolare – le paure e le incertezze causate dalle guerre, in Ucraina, in Palestina ed in Siria, che feriscono come un cancro il mondo e i nostri cuori.
Il mondo intero, scriveva san Massimo di Torino, (San Massimo di Torino (IV secolo – 420 circa) è stato un vescovo romano conosciuto anche come Massimo I. Egli è considerato il primo vescovo di Torino di cui si conosca il nome ed è venerato come santo dalla Chiesa cattolica e dalla Chiesa ortodossa).
«desidera, trepidante nell’attesa, che il chiarore di un sole più splendente illumini le sue tenebre».
La fede può sperare che questo possa realmente accadere! Perchè? Perché il “chiarore di un Sole più spendente illumini le tenebre” trova corrispondenza nella nostra natura umana. E’ ciò che coscientemente o no, desidera ciascuno di noi.
Dio si è nascosto in un bambino per essere cercato. Riflessione sul Natale.
Mosca, 13 Dicembre 2024
E’ con grande gioia che ci ritroviamo per ridestare il nostro cuore per essere pronti ad accogliere Gesù che viene. L’accorciarsi delle giornate e lunghe ore di buio che sempre caratterizzano questa terra, sembrano riflettere – quest’anno in modo particolare – le paure e le incertezze causate dalle guerre, in Ucraina, in Palestina ed in Siria, che feriscono come un cancro il mondo e i nostri cuori.
Il mondo intero, scriveva san Massimo di Torino, (San Massimo di Torino (IV secolo – 420 circa) è stato un vescovo romano conosciuto anche come Massimo I. Egli è considerato il primo vescovo di Torino di cui si conosca il nome ed è venerato come santo dalla Chiesa cattolica e dalla Chiesa ortodossa).
«desidera, trepidante nell’attesa, che il chiarore di un sole più splendente illumini le sue tenebre».
La fede può sperare che questo possa realmente accadere! Perchè? Perché il “chiarore di un Sole più spendente illumini le tenebre” trova corrispondenza nella nostra natura umana. E’ ciò che coscientemente o no, desidera ciascuno di noi.
Nell’uomo vi è un’inestinguibile aspirazione nostalgica verso l’infinito (Cardinale Ratzinger 1996)
E in questa fondamentale osservazione, Ratzinger, indicava anche la condizione necessaria affinché l’uomo possa riconoscere cosa c’è all’origine di questo desiderio d’infinito, all’origine della nostra esistenza umana, e con questo anche la pretesa di Cristo che in ciascuno di noi vibri questo desiderio d’infinito per mostrarne tutta la portata della sua pretesa: di esserne Lui l’origine e il fine.
Eppure in quante occasioni siamo tentati di guardare l’umanità concreta che ci troviamo addosso - per esempio, il disagio, l’insoddisfazione, la tristezza, la noia - come un ostacolo, una complicazione, un intralcio alla realizzazione di ciò che desideriamo. E così ci arrabbiamo con noi stessi e con la realtà, soccombendo sotto il peso delle circostanze, nell’illusione di andare avanti tagliando via qualche pezzo di noi. Ma disagio, insoddisfazione, tristezza, noia non sono sintomi di una malattia su cui intervenire con dei farmaci, come accade sempre più spesso in una società che confonde l’inquietudine del cuore col panico e con l’ansia. Sono piuttosto segni di quale sia la natura dell’io. Il nostro desiderio è più grande di tutto l’universo. La percezione del vuoto in noi e attorno a noi, noia che spesso incombe, sono la prova dell’inesorabilità del nostro cuore, del carattere smisurato del nostro desiderio - niente è in grado di darci soddisfazione e pace -; possiamo dimenticarlo, tradirlo, ingannarlo, ma non possiamo togliercelo di dosso.
Per questo il vero ostacolo al cammino non è la nostra concreta umanità, ma la trascuratezza di essa. Tutto in noi grida l’esigenza di qualcosa che riempia il vuoto. Lo intuiva perfino Nietzsche, che non poté evitare di rivolgersi al “dio ignoto” che fa tutte le cose: «Rimasto solo, levo le mie mani/ (…) “Al dio ignoto”:/ (…) Conoscerti io voglio - te, l’Ignoto, / Che a fondo mi penetri nell’anima, / Come tempesta squassi la mia vita, / Inafferrabile eppure a me affine!» (1864).
Eppure in quante occasioni siamo tentati di guardare l’umanità concreta che ci troviamo addosso - per esempio, il disagio, l’insoddisfazione, la tristezza, la noia - come un ostacolo, una complicazione, un intralcio alla realizzazione di ciò che desideriamo. E così ci arrabbiamo con noi stessi e con la realtà, soccombendo sotto il peso delle circostanze, nell’illusione di andare avanti tagliando via qualche pezzo di noi. Ma disagio, insoddisfazione, tristezza, noia non sono sintomi di una malattia su cui intervenire con dei farmaci, come accade sempre più spesso in una società che confonde l’inquietudine del cuore col panico e con l’ansia. Sono piuttosto segni di quale sia la natura dell’io. Il nostro desiderio è più grande di tutto l’universo. La percezione del vuoto in noi e attorno a noi, noia che spesso incombe, sono la prova dell’inesorabilità del nostro cuore, del carattere smisurato del nostro desiderio - niente è in grado di darci soddisfazione e pace -; possiamo dimenticarlo, tradirlo, ingannarlo, ma non possiamo togliercelo di dosso.
Per questo il vero ostacolo al cammino non è la nostra concreta umanità, ma la trascuratezza di essa. Tutto in noi grida l’esigenza di qualcosa che riempia il vuoto. Lo intuiva perfino Nietzsche, che non poté evitare di rivolgersi al “dio ignoto” che fa tutte le cose: «Rimasto solo, levo le mie mani/ (…) “Al dio ignoto”:/ (…) Conoscerti io voglio - te, l’Ignoto, / Che a fondo mi penetri nell’anima, / Come tempesta squassi la mia vita, / Inafferrabile eppure a me affine!» (1864).
Estratto del Podcast di Don Giussani:
Il Natale è l’annuncio che questo ignoto Mistero è diventato una presenza familiare, senza la quale nessuno di noi potrebbe rimanere uomo a lungo, finirebbe travolto dalla confusione, vedendo decomporsi il proprio volto, perché «solo il divino può “salvare” l’uomo, cioè le dimensioni vere ed essenziali dell’umana figura e del suo destino» (don Giussani).
Il Natale del Signore, luce del mondo, ci restituisce le ragioni della speranza e ci invita a guardare con fiducia al futuro. Con la nascita di Cristo, infatti,
«il mondo stesso… dalle profonde tenebre notturne emerge quasi per un parto di luce… e viene restaurata la sua luminosità». (San Massimo di Torino)
Quanto abbiamo bisogno di questa luce! La luce che scaturisce dalla certezza che non siamo soli, che la sofferenza, e persino la morte, non sono l’ultima parola. Dio si fa uomo per donarci la sua vita divina, per dirci che l’unico orizzonte adeguato della nostra esistenza è la vita eterna, che la salute del corpo è parte di una salute più grande e più necessaria, che Egli è venuto a portare.
Dio avrebbe potuto raggiungerci in molti modi, ma ha scelto di incarnarsi, di diventare uno di noi, perché noi lo potessimo vedere, toccare, incontrare. L’Incarnazione del Figlio di Dio ci insegna che la fede non è qualcosa di astratto, di “spiritualistico”. Non è neppure qualcosa che si può vivere solo virtualmente. Egli ha mandato suo Figlio, in presenza. Nella carne.
Il Natale del Signore, luce del mondo, ci restituisce le ragioni della speranza e ci invita a guardare con fiducia al futuro. Con la nascita di Cristo, infatti,
«il mondo stesso… dalle profonde tenebre notturne emerge quasi per un parto di luce… e viene restaurata la sua luminosità». (San Massimo di Torino)
Quanto abbiamo bisogno di questa luce! La luce che scaturisce dalla certezza che non siamo soli, che la sofferenza, e persino la morte, non sono l’ultima parola. Dio si fa uomo per donarci la sua vita divina, per dirci che l’unico orizzonte adeguato della nostra esistenza è la vita eterna, che la salute del corpo è parte di una salute più grande e più necessaria, che Egli è venuto a portare.
Dio avrebbe potuto raggiungerci in molti modi, ma ha scelto di incarnarsi, di diventare uno di noi, perché noi lo potessimo vedere, toccare, incontrare. L’Incarnazione del Figlio di Dio ci insegna che la fede non è qualcosa di astratto, di “spiritualistico”. Non è neppure qualcosa che si può vivere solo virtualmente. Egli ha mandato suo Figlio, in presenza. Nella carne.
Dio si è nascosto in un bambino per essere cercato.
Dio si nasconde. Non ci abbaglia con lo splendore della sua grandezza. Non ci costringe con la sua potenza a inginocchiarci davanti a lui. Vuole che tra lui e noi ci sia il mistero dell’amore, che presuppone la libertà. Vuole che vi sia l’attendere, il cercare, l’andare e il trovare, dai quali sorge di nuovo, da ogni creatura, quel sì all’amore che in essa rappresenta il mistero peculiare ed eterno.
Dio aspetta che ogni creatura si metta in cammino, che esprima un nuovo e libero sì alla sua proposta, che a partire dal creato si realizzi di nuovo l’evento dell’amore. Dio aspetta l’uomo. E per noi vuole che possiamo fare questa esperienza realmente divina: l’esperienza della libertà, del cercare, dello scoprire e del gioioso sì a un amore che è il cuore del mondo e grazie al quale il mondo è buono e noi siamo buoni. Dio è Emanuele. Dio si nasconde affinché noi siamo la sua immagine, affinché in noi ci possano essere libertà e amore – ripeteva –. E che nascondiglio ha trovato!
Si nasconde in un bambino, in una stalla. Sembra essere la massima contraddizione immaginabile rispetto all’onnipotenza e al cielo. Ed è per questo che i dotti esegeti della Bibbia non sono riusciti a trovarlo. Sapevano bene che il Messia sarebbe nato a Betlemme, nella città di Davide, pastore nello splendore della grandezza del nome di Dio, e che avrebbe mandato dei pastori, come sta scritto nel libro del profeta Michea in riferimento al mistero della Notte Santa.
I grandi teologi sono rimasti attaccati alla parola e non hanno trovato al di là delle parole la strada che li conducesse alla realtà.
Dio si nasconde perché vuole che gli assomigliamo, vuole che la verità e l’amore nascano in noi, tuttavia egli non è soltanto nascondimento.
Il Natale è il nascondiglio di Dio, se vogliamo esprimerci in questo modo, ma insieme alla Pasqua è anche la sua più grande manifestazione.
Dio non ci lascia soli in questo gioco che è la verità: è lui che l’ha progettato e gli ha dato inizio. Egli ci segue sempre. Egli ci cerca affinché noi riusciamo a cercarlo.
Nel bambino egli diventa visibile così com’è, vale a dire come amore che può fare cose straordinarie. Chi comincia a capire questo modo di amare e questo modo di essere onnipotente cade in ginocchio ed è colmato dalla grande gioia che l’angelo ha annunciato nella Notte Santa.
“Andiamo a Betlemme”, si sono detti l’un l’altro i pastori che si incamminavano per andare ad adorare Gesù. Mettiamoci in cammino verso ciò che è vicino a noi, verso il centro di noi stessi, verso la verità di Dio che attende in noi, che vuole nascere in noi.
Dobbiamo entrare in quella semplicità dei cuori che è in grado di scorgere Dio.
Ha scritto Italo Calvino:
“L’inferno è già qui. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione ed approfondimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio”.
«Chi e che cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno». È accaduto, questo! Vogliamo riprendere, scostando la nebbia dell’abitudine dal nostro occhio e dal nostro cuore, vogliamo riprendere la grande notizia, il grande annuncio, il grande fatto, il grande avvenimento. «Chi e che cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno»: il Destino, il Destino nostro, si è reso Presenza. Ma Presenza come padre, madre, fratello, amico, come – mentre stavamo camminando – un compagno improvviso di cammino. Un compagno di cammino: Emmanuele, il Dio con noi! È accaduto questo!
Luigi Giussani:
“Preghiamo il Signore che ci stimoli come ha fatto con i i pastori. (...) Di modo che anche a noi sia dato di provare la grande gioia che è concessa a tutto il popolo: ‘Guardate, nella città di Davide è nato per voi il Salvatore, Cristo, il Signore!” .